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Pubblico Registro Automobilistico (PRA): come digitalizzare in modo sbagliato

By Giugno 25, 2016No Comments3 min read
Un articolo di Alessandra Foschetti, Digital & Law Department, illustra il caso del Pra, nel quale la digitalizzazione del processo è avvenuta solo parzialmente e sicuramente non rispettando le regole del CAD.

Pubblico Registro Automobilistico (PRA): il Caso

Le regole tecniche attuative del CAD prescrivono alle pubbliche amministrazioni il completamento del processo di dematerializzazione entro agosto 2016 rendendo necessaria una revisione complessiva dei procedimenti della PA.
Tale revisione dovrà prendere in esame l’intero ciclo documentale del singolo procedimento amministrativo, non bastando, come si è da sempre ripetuto, l’introduzione di un gestore documentale a norma. Il caso della digitalizzazione del libretto di proprietà è in tal senso emblematico.
Prima della recente riforma della Pubblica Amministrazione, per ogni veicolo italiano esistevano due documenti – certificato di proprietà e carta di circolazione o “libretto” – custoditi in due registri – Pra e Archivio veicoli – e gestiti da Aci e Motorizzazione Civile. Per eliminare i costi della tenuta di questi due registri differenti, la riforma della Pubblica Amministrazione ha previsto che il certificato di proprietà e il libretto fossero accorpati in un documento unico, con l’eliminazione del doppione Aci-Motorizzazione.
Questo intervento di semplificazione avrebbe comportato lo svuotamento di funzioni e di risorse in capo all’Aci che si occupano della tenuta del Pra, tant’è che fu ipotizzato lo spostamento di personale dal Pra alla Motorizzazione. Per mantenere funzioni e risorse Aci Informatica sostenne la “digitalizzazione del Pra”.

Pubblico Registro Automobilistico (PRA): gli Errori

 Dopo appena 15 giorni dall’introduzione del Certificato di Proprietà Digitale, Unasca Studi (Confcommercio) denunciava un aggravio burocratico, anziché uno snellimento, oltre ad una mancata riduzione dei costi a carico dell’utente finale.
Ad oggi, questo è il quadro:
-          ci sono atti che vanno validati in cartaceo per consentire la corretta gestione del processo digitale (“i fogli complessivi da stampare per portare a termine il passaggio sono passati da uno, che era il certificato che non viene più consegnato, ad almeno cinque”);
-          il nuovo archivio non contiene originali né documenti validati in alcun modo (“il nuovo archivio messo in piedi da ACI che traccia gli atti di vendita non ancora autenticati e ben lungi dall’essere tali”).
Quello che sorprende maggiormente - considerato il fornitore, ACI Informatica, che vanta anche l’accreditamento AgID per la gestione della PEC -– è il fatto che si sia proceduto alla digitalizzazione di un archivio così importante senza considerare l’intero processo di produzione e di conservazione elettronica a norma dei documenti.
In questo caso, per esempio, l’introduzione di una firma grafometrica su tablet avrebbe consentito al richiedente di firmare un documento digitale e di non dover stampare dei documenti ulteriori. Questo avrebbe comportato la tenuta di un archivio di dati (anche di quelli biometrici del firmatario), probabilmente un adeguamento in più rispetto alle infrastrutture tecnologiche, la formazione del personale e una revisione di tutte le procedure esistenti.