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Un’indagine svolta da Telefono Azzurro e Doxakids rivela che tra i principali rischi connessi alla navigazione in rete percepiti dai ragazzi ci siano:

  • Cyberbullismo (22%);
  • Diffusione dei pettegolezzi (16%);
  • Visualizzazione di contenuti violenti (11%);
  • Discriminazione sulle tendenze sessuali (4%);
  • Sette adolescenti su dieci considerano il cyberbullismo il fenomeno sociale più pericoloso del momento;

Dati confermati anche da IPSOS per Save the Children, che sottolinea come un ragazzo su dieci abbia subito atti di cyberbullismo e come il 21% affermi di conoscere qualcuno che ne è stato vittima.

Alla luce di questi dati è doveroso indagare più approfonditamente il fenomeno del cyberbullismo e le sue cause.

Le responsabilità non sono da attribuirsi al pc, ai telefonini, alla tecnologia in generale (che è in realtà solo un mezzo), ma all’educazione impartita ai ragazzi.

Le cause del cyberbullismo sono da ricercarsi nel modo di educare i giovani, di rappresentargli la realtà, di un poco efficacie insegnamento all’autoregolazione. Educare significa, soprattutto, creare occasioni in cui i ragazzi possano sentirsi bravi.

Sentirsi bravi significa persistere nello sforzo, accettare nuovi traguardi, sopportare la frustrazione; sentirsi incapaci porta, invece, a desistere di fronte alle prime difficoltà, a fuggire compiti nuovi, a reagire con rabbia all’insoddisfazione.

I ragazzi devono sentirsi bravi, diventando consapevoli dei loro punti di forza e debolezza, riconoscendoli e controllandoli.

Per questo è fondamentale lavorare su alcune dimensioni:

  • La consapevolezza;
  • La flessibilità (permettendo ai ragazzi di sperimentare diversi modi di affrontare un compito, un’attività, anche se non sempre “vincenti”);
  • L’inibizione (stimolando a bloccare le informazioni inutili);

E osservare, sia a casa che a scuola:

  • Quanto tempo i ragazzi persistono in un’attività, senza passare continuamente e impulsivamente da una all’altra;
  • Quanto riescono ad essere flessibili, accettando eventuali modifiche di regole o nuovi compagni;
  • Quanto siano in grado di inibire movimenti o verbalizzazioni irrilevanti e disturbanti;

Dopo quest’analisi si potrà intervenire rendendo consapevole il ragazzo di eventuali suoi comportamenti scorretti, abituandolo dunque ad autosservarsi.

Così facendo limiteremmo l’imprevedibilità del suo comportamento, generata da una profonda incertezza che diventa tensione ed esplode in comportamenti sregolati.

Per fare questo, è necessaria una grande sinergia da parte di tutti gli adulti, genitori ed educatori, coinvolti nel processo educativo giovanile.